Savòr nella Tradizione Rurale Bolognese

 

Una preparazione famigliare, quindi variabilissima da famiglia a famiglia, uno uguale all’altro non lo si trova mai e ciascuna szdoura ritiene il proprio come il migliore Savòr della zona!!!!

Non esiste ricetta, ma nella tradizione delle famiglie di campagna c’era la usanza, tramandata non scritta, di questa speciale preparazione autunnale.

Cominciava il rito che si protraeva dall’alba al tramonto.

Il tutto avveniva nel cortile, vicino al pozzo da cui attingere l’acqua per risciacquare la frutta, coi bambini alla ricerca della legna da ardere, le nonne sedute nelle basse sediole a pelare alacremente le mele, gli uomini a procurare il bigoncio di mosto fresco e qualche gallina che beccava nei pressi!

Veniva utilizzata la frutta disponibile, che poi consisteva in mele, pere, qualche mela cotogna della pianta di un vicino, anche la zucca oppure una barbabietola da zucchero avanzata nel campo e, occasionalmente, la buccia tagliuzzata di un paio di arance.

Soprattutto era il mosto d’uva il primo, indispensabile ingrediente che veniva versato nel paiolo di rame sistemato sul fugone, un cilindro arrugginito, all’interno del quale si spingeva la legna da ardere, ramoscelli, stecchi, e qualche ciocco per il fuoco più lento.

Il mosto doveva bollire dolcemente e lo si doveva schiumare a lungo, finchè il liquido non diventava bello lucido e trasparente. Allora si aggiungevano i pezzi di frutta e per ore il lungo bastone veniva abilmente, ma con cautela, fatto girare nella massa bollente e fumante. Il profumo si spandeva tutto intorno.

Nelle case di oggi si fanno solo dei quantitativi ridotti, spesso la reperibilità del mosto è un problema; i fornelli non possono permettere l’uso di pentole enormi , e anche l’utilizzo del savòr è poco diffuso.

Chi abbrustolisce oggi una fetta di polenta e ci spalma sopra un cucchiaio bello denso di bruno savòr?

Ma io ci faccio le raviole, la pinza, serve anche per impastare il Pàn d’Nadel; la mia colazione spesso è una spalmata di savòr sulla fetta biscottata; poi azzardo anche qualche accostamento audace, con formaggio, carni arrostite ecc.

Questa è la mia versione di quest’anno, di cui ho preso i pesi, che non sono per niente tassativi, magari il prossimo anno metterò meno pere, o troverò le cotogne, o avrò anche le arance!

Ingredienti

– 3000 ml mosto filtrato di uva Lambrusco Salamino
– 3000 g mele di due qualità
– 3000 g pere, anche di due qualità
– 300 g zucca gialla
– 100 g prugne rosse
– buccia grattugiata di 1 limone.

Non avevo disponibili 2 mele cotogne le prugne danno forse un che di simile.

Da un bidone di uva Lambrusco Salamino, omaggio del mio vicino, ho ricavato, dopo aver staccato tutti gli acini e averli schiacciati con le mani in un colapasta, 3 litri di mosto filtrato.

Lasciare a riposo per una giornata.

Ho versato il mosto in una pentola di acciaio con triplo fondo, sobbollito per tre ore, ho sempre tolto la schiuma con la ramina e ho raggiunto poco più di due litri, ai quali ho aggiunto la frutta.

Ho cotto prima in due tegami antiaderenti, poi dopo la riduzione a metà del contenuto, ho travasato in uno solo. Ho frapposto tra fiamma e tegame una piastra in ghisa, per impedire strinature sul fondo del tegame.

La cottura è stata di sette ore, a fuoco moderato, mescolando di tanto in tanto.

Ho lasciato raffreddare per tutta la notte.
Ho risciacquato i vasetti in vetro con alcool, asciugati e riempiti con il savòr.
Ho foderato con teli vecchi le pentole per il bagnomaria, ho sistemato i vasetti, coperti con acqua fredda e fatti sobbollire per 30 minuti.

Controllare, dopo che si sono lasciati raffreddare nell’acqua del bagnomaria, che i coperchi siano veramente sottovuoto, altrimenti cambiare coperchio e ripetere la sterilizzazione.
Riporre in luogo fresco e buio.

Testo di Ivana Setti

 

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